| Nel fondo Arnaldo Cervesato – depositato presso l’Archivio
              Contemporaneo “A. Bonsanti” Gabinetto
              G. P. Vieusseux di Firenze –  sono presenti diciannove
              lettere inviate da Pesce all’amico Arnaldo Cervesato. Il
              rapporto epistolare ebbe inizio nel gennaio 1900, quando Cervesato
              accettò  l’offerta di collaborare alla rivista «Aspasia» ed
              ebbe termine nel 1939, anno della morte di Pesce. Cervesato e Pesce
              sono destinati a incontrarsi in un percorso chiasmatico: a partire
              dal 1902, Cervesato fonda e dirige «La Nuova Parola»,
              alla quale Pesce collaborerà come redattore capo; viceversa,
              a partire dal 1911, sotto la direzione di Pesce, Cervesato collaborerà con
              la rivista «Humanitas».Presumibilmente queste lettere rappresentano solo una parte dell’intera
            corrispondenza con l’amico di Mola. Si tratta di lettere – specialmente
            le prime – che hanno un carattere prevalentemente redazionale
            e pertanto non vi si può trovare il filo che documenti la
            loro collaborazione ideale, le loro divergenze di giudizio, le loro
            convergenze politiche nonché i motivi che, a partire dalla
            fine 1922, portarono a incrinare il loro rapporto di amicizia. Di
            fatto sappiamo che –  dopo l’adesione di Cervesato al
            fascismo – Pesce interruppe il rapporto epistolare con lui
            fino al gennaio 1939.
 Queste lettere sono comunque utili poiché ci consentono di
            ricostruire alcune situazioni della sua vita e, in particolare, di
            gettare luce sulle modalità che contraddistinsero la sua collaborazione
            a «La Nuova Parola». Il primo fascicolo uscì nel
            gennaio del 1902 e le pubblicazioni proseguirono mensilmente fino
            alla primavera-estate del 1908. Il lavoro redazionale gli consente
            di entrare in contatto con i diversi redattori della rivista – Sibilla
            Aleramo, Giovanni Amendola e Arturo Lancellotti – nonché con
            alcuni collaboratori, seppure saltuari, come Giovanni Papini, Giuseppe
            Prezzolini ed Emilio Cecchi.
 «La Nuova Parola» veniva stampata dall’editore Vecchi a Trani.
  Qui Pesce si recava spesso per consegnare e prelevare il materiale inerente
  alla rivista.
 Pesce, in qualità di redattore capo, appronta gli indici,
            fa da tramite fra il direttore e l’editore, produce articoli,
            svolge un’intensa attività di traduttore e, per di più,
            il lavoro redazionale lo costringe a frequenti viaggi e a costosi
            soggiorni a Roma, la città in cui vivono il direttore e gli
            altri collaboratori.
 Per quel che riguarda la sua attività di traduttore Pesce
            traduce in italiano per lo più  novelle o articoli e, a volte,
            si cimenta anche con i libri: nel 1906, inizia la traduzione del
            saggio dello storico dell’arte John Ruskin, La Bibbia di
            Amiens; sempre di Ruskin, nello stesso anno, traduce dall’inglese, Mattinate
            fiorentine, e ne propone a Laterza la pubblicazione,
            ma l’editore rifiuta perdendo così l’occasione
            di pubblicare un testo di indubbio valore e di rara bellezza; infine
            porta a compimento la traduzione del libro di Frederic Myers, La
            personalità umana e la sua sopravvivenza, vol. I e II, «La
            Nuova Parola», Roma, E. Voghera, 1909.
           Lettera
            n. 1 – Pesce a Cervesato Mola, 21 ottobre 1902             Mio Carissimo.Ricevo adesso la cartolina, i due libri e l’articolo, che saranno
            sollecitamente tradotti e recensiti. Quanto a ciò che chiami mio
            programma, ecco: la definizione di interessi delicati e complicati
            allontana di giorno in giorno più quello in cui possa risalutare
            Roma. Nella peggiore ipotesi non potrò venirvi prima
            di capo d’anno, ma certo vi sarò nei primi giorni del
            pross. gennaio.
 Fino a quell’epoca posso continuare a prestarti l’opera
            mia come per il passato, e di più con quella maggiore attività che
            mi concederanno le frescure autunnali e l’espero oramai perfettamente
            libero da ogni pubblica cura.
 Per l’anno prossimo, poi, un lavoro di regolare redazione non
            potrei francamente farlo, senza un indennizzo finanziario. Non parlo
            di compenso, ma di indennizzo, perché, se
            da una parte non pretendo molto dall’altra intendo sempre serbare
            una relativa libertà  per accudire ad altri lavori miei, e
            poter coltivare un po’ meglio il mio spirito selvaggio.
 Ti parlo sulle generali perché, da quei buonissimi amici che
            siamo, ci sarà facile quando fossimo entrambi nello stesso
            ordine di idee, intenderci su tutti i punti.
 Ho scritto a Vecchi chiedendo le bozze (che non mi furono inviate
            neppure l’altra volta), almeno quella dell’art. su Zola.
            Mi ha risposto che lo Zola è già stampato; ma che (sic)
            ora che conosce il mio pseudonimo, mi invierà puntualmente
            le bozze degli articoli così firmati. Io però non ho
            posto, come sai, nessuno pseudonimo al mio articolo. Temo perciò che
            esso sia stato sostituito da qualche altro che ti sia garbato meglio.
            Non me ne rammarico affatto; ma ti prego caldamente a volermi rimandare
            con sollecitudine e raccomandate le cartelle, unica sola copia di
            quanto ho scritto al proposito, e che mi importerebbe, alquanto modificato
            e ampliato, spedire ad altra rivista.
 Grazie di quanto stai facendo per il Preludio che comincia
            ad incontrare assai bene.
 Abbraccioti.
 Piero
 Lettera n. 2 – Pesce a Cervesato Mola, 19 novembre 1902             Mio carissimo Arnaldo.Il mio silenzio è causato dall’attesa del materiale
            per darti una piccola seccatura, che potrebbe in qualche modo, sia
            pure indirettamente, giovare un pochino anche a te. Ma, facendosi
            certo nocumento attendere troppo, preferisco scrivertene precedentemente,
            perché tu non abbia ad attribuire dio sa a che cosa il mio
            mutismo.
 E, circa l’argomento che è stato tema delle nostre ultime
            lettere, ti apro schietto l’animo mio. Mentre mia sola ricchezza è questo
            po’ di terra cui i miei maggiori mi hanno legato, i suoi redditi
            non sono tali da permettermi di disinteressarmene, specialmente nelle
            tristissime presenti condizioni della regione pugliese. Mi spiego
            meglio: non sono così ricco da poter fare in un gran centro
            il letterato dilettante, dandomi il lusso di avere qui un amministratore;
            e potrei soltanto abbandonare del tutto queste mie cose, quando un
            altro interesse materiale, non dico mi compensasse, ma almeno moralmente
            mi scusasse del colpevole abbandono. Donde la necessità di
            cercare un’altra fonte, sia pure di limitato, di minimo guadagno,
            prima di rigettare questa o lasciarla inaridire = Sono, caro, le
            catene della borghesia! Ben più crudeli, spesso, dei ceppi
            del proletariato.
 Mi rivolsi a te, sperando tu mi permettessi di giustificare, con
            un compenso qualsiasi il sospirato assenteismo, penoso anche abbastanza,
            perché le mie cose io le amo moltissimo. Tu non puoi; ed io
            so che se avessi potuto forse non avresti atteso la mia richiesta.
 Ora, fallito il mio progetto, accomodiamo diversamente le cose nostre.
            Io cesso di essere il tuo redattore capo, perché con
            le limitazioni di tempo, di luogo e di forze che le cose di cui sopra
            mi impongono, questo titolo è ridicolo. Continuo però di
            fatto a dedicarti come prima tutta la mia attività disponibile,
            che ti prego di continuare a sfruttare come meglio crederai, salvo,
            nei lavori noiosi, gli impegni a scadenza [illeg.] assai brevi. In
            compenso non ti chiedo nulla, naturalmente.
 E adesso alla seccatura. Ho pensato di iscrivermi presso codesta
            università alla facoltà di lettere e filosofia. Appena
            ricevo da Napoli il certificato di laurea, te lo spedirò con
            l’atto di nascita. Ti prego di redigere tu stesso la domanda,
            cercando, se possibile, previa intervista con qualche professore,
            e dati i miei precedenti di scrittore e direttore di riviste, di
            ottenere l’esonero di due corsi più  tosto che di uno
            solo cui avrei diritto perché laureato in giure. Ecco l’unico
            favore che ti chiedo. Pensa che sbrigati a puntino le pratiche, mi
            potrai avere più lungamente a Roma sotto mano e, almeno in
            spese postali risparmiate, ti compenserai del fastidio.
 Affettuosamente.
 Piero
 Lettera n. 3 – Pesce a Cervesato Mola, 11 giugno 1903             Mio carissimo direttore.Ho cominciato ieri sera a tradurre la novella, perché finora,
            per affari privati, sono stato occupatissimo, ma essa ti tornerà senza
            dubio, in veste italiana, prima della fine di giugno. Dell’altro
            articolo – su de Curel – ti scrissi non aver nulla ricevuto,
            e non so se tale, certo importante, notizia ti sia o meno giunta,
            perché non ho ancora quella tale carta da visita che io ti
            pregava spedirmi a mia tranquillità.
 Ti scrivo di nuovo per un fatto tutto mio. Ho in animo di raccogliere,
            in volume, alcuni scritti di indole critica, editi ed inediti. Dall’annesso
            indice vedrai che il volume riuscirebbe nello stesso tempo vario
            ed organico come un legittimo figlio della stampa. Oh che non me
            lo trovi tu l’editore? Non ti dico altro. Non voglio guadagnarci
            nulla, ma non voglio portare neppure alcuna spesa, perché in
            tal caso dovrei rivolgermi al Vecchi di Trani, tanto corretto meco.
            Ma, a questo estremo, forse finirei col non farne nulla; e tu non
            puoi acconsentire che io non ne faccia nulla.
 Dunque = In manus tuas.
 Piero
 Lettera n. 4 – Pesce a Cervesato Mola, 10 aprile 1904             Mio carissimo Arnaldo.Questa mia potrebbe parerti tardiva, se, per l’esattezza delle
            poste italiane, il tuo simpatico dono pasquale, spedito regolarmente
            da Roma il 2, non fosse qui giunto appena l’altro ieri. Poco
            danno se si consideri che attendiamo da un mese un botticello di
            marsala di cui ci fu dal produttore annunciato l’invio. Ma
            io non ho voluto, per ciò solo, commettere la banale cortesia
            di ringraziarti fantasticamente, quanto adesso posso dirti che il
            tuo bello (in Italia non è  qualità trascurabile) e
            buon dolce fu davvero gustato moltissimo da noi tutti, riuniti per
            le vacanze, e dagli intimi nostri che con tanto affetto e così  spesso
            ti ricordano.
 Fra qualche giorno con il resto della famiglia, o precedendo gli
            altri, tornerò a S. Materno – un rinvio dei miei processi
            mi vietano per tutto aprile e maggio pormi in viaggio, e non verrò per
            adesso a Roma –. Mandami da far qualche cosa, o articoli o
            traduzioni. Spedirò di mio, al Vecchi direttamente, una critica
            breve ed oggettiva di tre libri di novelle di Ojetti, Di
            Giacomo, Banti. Non mando a te l’articolo, perché esso
            dovrà essere in massima [illeg.] e di modesta intonazione.
 La “Nuova Parola” migliora sempre, sempre, sempre. E’ la
            sola rivista, mi sembra, che è perché, se non fosse,
            se ne sentirebbe davvero il bisogno.
 Saluti affettuosi. Scrivimi!
 Piero
 Lettera n. 5 – Pesce a Cervesato S. Materno, 16 novembre 1906             Mio buon Arnaldo.Questa volta il ritardo è più che giustificato. Da
            lunedì sono fidanzato in Ostuni alla Signorina Caterina Tanzarella,
            e torno colà domani. La passione, lungamente covata sotto
            le ceneri, come mi sembra averti accennato mentre eri qua giù, è scoppiata
            violentemente danneggiandomi nella salute.
 Non ti nascondo che ne sono alquanto preoccupato, perché temo
            cadere vittima di quella nevrastenia che, pure minacciandomi spesso,
            non mi ha mai fiancato sul serio nei più affannosi momenti
            della mia vita. Ma di soverchia gioia, dicesi, non si muore.
 Attendo il Ruskin, ed ho già fissata a Bari, all’uopo,
            una lezione di inglese. Questo lavoro giunge proprio a proposito,
            come opportuna distrazione dello spirito. Ad Armando Perotti scrivo
            contemporaneamente (!) Ti manderò insieme le odi trascritte
            e la sua risposta per la pubblicazione.
 Vittorio sposa sabato, 24 corr. Verrà, quindi, dopo Napoli,
            a Roma.
 Abbraccioti.
 Piero
 Lettera n. 6 – Pesce a Cervesato S. Materno, 25 dicembre 1906             Mio carissimo Arnaldo.Ho tardato a scriverti finora, attendendo di giorno in giorno La Bibbia di
            Amiens, che non è ancora giunta. Come va?
 Intanto, poi che finisce il semestre della N. P., ti sono franco.
            Gradirei moltissimo fare gli indici, ma mi è impossibile approntarli
            pel numero di gennaio. Per le altre volte essi sono andati sempre
            nel 2° fascicolo del nuovo semestre. Se ciò non ti guasta,
            essi ti sarebbero inappuntabilmente trasmessi prima del 20 genn.,
            e, ti ripeto, li farei assai volentieri.
 Grazie dei rallegramenti e degli augurii. Grazie di cuore! Confido
            poterteli restituire presto; perché, credimi, non ho mai vissuto
            prima d’ora più intensamente e dolcemente; e ai miei
            diletti amici auguro con tutto il cuore un gaudio uguale.
 Le nozze saranno, quasi certamente, nei primi giorni di aprile – e
            quasi certamente passeremo a Corfù  tutto il detto mese –.
 Intervistai il Laterza per il Ruskin. Non conclusi nulla; in ogni
            modo trattatosi delle Impressioni fiorentine.
 Prosperi il nuovo anno te, e il tuo lavoro, e la tua famiglia carissima.
 Piero
 Lettera n. 7 – Pesce a Cervesato Mola / San Materno /, 3 giugno 1907             Carissimo Arnaldo.In questi due mesi – sono compiuti ieri – dal mio sposalizio
            avrò pensato sessanta volte di scriverti: e per ringraziarti
            del bellissimo, affettuoso e suggestivo tuo dono e per ricordarmiti
            di Corfù – ritrovai nel registro dell’albergo – ritrovai
            a Paleocastrizza i nostri due nomi insieme –, e per dirti di
            Costantinopoli, di Smirne, di Atene, dove fui con mia moglie. Ma
            durante il sogno di un simile viaggio – vuoi che ne scriva
            qualche impressione per la Nuova Parola? – volli di
            proposito esser muto con tutti, ripromettendomi che quando fossi
            qui giunto… Ma qui mi ha sorpreso un altro sogno delizioso,
            quello di una tranquilla serena e dolce intimità che “intender
            non la può chi non la prova”: comincio a destarmi. Dei
            tre libri da te datimi a recensire, ho finito il Goldoni e dava mano
            al Mazzini, quando mi è giunto, primaverilmente fresco, il
            tuo libro, che ho divorato di un fiato. Tornerò fra qualche
            giorno sul proemio, sulla chiusa e su due o tre figure fra le più  tipiche
            e ne scriverò di proposito.
 Insieme con il piccolo – dovrà  essere necessariamente
            breve – articoletto critico – che se non vorrai far pubblicare
            altrove piazzerò io su una buona rivista pugliese. Ti spedirò gli
            indici e le tre recensioni. Non ti incresca il necessario ritardo.
            Mi presto al lavoro, ma anche alle comuni faccende di borghesuccio
            di campagna, ed ai doveri della cosiddetta vita sociale, cui mia
            moglie e io cerchiamo, è vero di partecipare il meno possibile,
            ma che ci impone lo stesso il suo sciocco tributo di convenzioni
            e di convenienze.
 A non molto, dunque. Curami sempre e tienimi per l’immutabile
            affettuosissimo tuo
 Piero Delfino
 Lettera n. 8 – Pesce a Cervesato Mola, 21 dicembre 1908             Carissimo Arnaldo.La posta ti porta, con la presente, il testo di un discorso da me
            pronunciato a Molfetta per “I fatti di Vienna”. Te lo
            invio per dirti che non sono morto, come tu avresti ben ragione di
            credere. Alle tue parole affettuose per la traduzione mi sono lusingato
            rispondere, immediatamente, a viva voce. Non ho potuto e non potrò farlo
            per tutto questo inverno e per la primavera successiva perché la
            mia povera economia non me lo permette = qui per chi viveva di rendita
            agricola e non di strozzinaggio volgono assai brutti giorni.
 Naturalmente non sono al punto di avere perduto le speranze nel futuro:
            ciò mi attacca alla terra con maggior forza e centuplica il
            mio lavoro. Il discorso ti dimostri che lo spirito è però  sempre
            in alto: perdonami l’orgoglio, ma, checché venga, non
            potrà mai essere altrimenti. Nel gennaio prossimo conferirò a
            Trani sul Perché non sono più cattolico; quindi
            a Bari su La morale di Gesù.
 I miei auguri, quindi, per il nuovo anno non sono quelli della talpa
            che si è scavato la buca per il letargo invernale: giungano
            a te non indifferenti come io te li invio affettuosissimi. Come puoi
            immaginare, sarai più volte rievocato nel circolo della nostra
            famiglia – che per Natale si riunisce intera – come una
            delle figure più care apparse nella nostra casa. Allora io
            deplorerò ancora una volta di non poter approfittare della
            offerta suggestiva lettura, e mia moglie mi incuorerà a venire
            a Roma.
 Ma io ho promesso a me stesso di venirvi insieme, perché anch’essa
            ama Roma moltissimo, e dovrò fingermi troppo occupato.
 Ricordami alla mamma, ed amami assai.
 Piero
 Lettera n. 9 – Pesce a Cervesato Bari, 29 dicembre 1911             Carissimo.Dalla data apposta all’unito vaglia di lire Duecento, apprenderai
            come il primo giorno che mi è stato concesso venire qui di
            mattina ho subito provveduto alla bisogna, che non ho compiuto perché,
            fra la gazzetta, il Consiglio Provinciale, le noie private, e un
            grosso guaio commessomi da un mio impiegato, non ho materialmente
            avuto l’attimo per scriverti. Grazie della contro accettazione,
            che è per me doppiamente augurale. Non è affatto necessario,
            fra noi, un contratto in carta bollata. E’ bene però,
            per la regolarità di questa gestione, che il testo delle mie
            proposte sia da te riprodotto in una formale lettera di accettazione,
            che, come è facile intendere, si formula mutando l’io in tu e
            viceversa. Metterò  immediatamente in composizione il libro.
            Voglio farne una cosa assai fina. Formato e caratteri del mio Diritto,
            carta però assai migliore. Ti va? Voglio poi, assolutamente
            che ogni medaglione porti di contro il ritratto: è necessario,
            non ti pare? – Penserò io, si intende, alle riproduzioni;
            ma è nel tuo interesse aiutarmi nella ricerca del ritratto
            migliore e più suggestivo per ciascuna figura – Questa
            ricerca deve esser fatta nel più breve tempo possibile –.
            L’Isola degli olivi uscirà insieme col libro;
            ma non avere fretta: una settimana prima o dopo non importa gran
            che in questa stagione.
 Scrivimi, sta sano e procurami amici e scrittori. Se vorrai inviarmi
            qualche scritto, sempre più che graditi, ricordati che preferisco
            quelli accompagnati da vignette.
 Fraternamente
 Piero
 Lettera n. 10 –  Pesce a Cervesato Mola, 1 gennaio 1939             Mio carissimo Arnaldo.Godo poter scrivere la nuova data sopra un’epistola indirizzata
            a te. Che ciò possa avvenire nuovamente fra molti anni per
            tua e mia consolazione, se fra molti anni avremo ancora di che consolarci.
            La presente non è però disinteressata. Ti scrivo per
            domandarti se fra i personaggi di tua conoscenza qualcuno ve ne sia
            che possa garantirmi di ottenere una udienza da S. E. Bottai. Dovrei
            parlargli di cosa delicatissima, e come puoi immaginare, onestissima.
            So che il Bottai è, oltre che un uomo di ingegno e di cultura,
            un galantuomo; ma so anche quanto sia difficile oggi ottenere udienza
            in un alto dicastero dello Stato, e non posso permettermi, ora, di
            venire a Roma senza la certezza che il viaggio sia inutile. Di me
            ho poco da dirti. La mia miseria economica è compensata assai
            largamente da una fresca fioritura spirituale che mi riporta ai miei
            migliori anni. Penso lo stesso sia per te. Ho finito giorni sono
            la mia XIIIª opera teatrale; in questo mese, se non turberanno
            incidenti imprevedibili, ne condurrò a punto altre tre: tutta
            roba che ti piacerebbe. E le rappresentazioni? Debbo ritenere che
            non dimorando io né a Roma né a Milano, mi manchi il
            modo di farmi largo pur nella penuria confessata di nuove commedie.
            Ciò per altro non mi smonta. Il mio dovere è scrivere;
            e al resto provveda Iddio. Pregoti di quanto innanzi volermi assicurare
            del sì o del no. E, poi che mi auguro sia un sì assoluto,
            pregusto già  il piacere di riabbracciarti quanto prima.
 Piero Delfino
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